Descrizione
Mentre donne, uomini e bambini vengono picchiati sulle frontiere, lasciati morire in mare e imprigionati in campi di detenzione, gli Stati europei affrontano la migrazione come se fosse un fenomeno emergenziale e non storicamente determinato dalle loro stesse politiche. In questo libro, nato sul campo, da un’esperienza di lavoro nell’accoglienza, l’incontro con l’alterità culturale diventa l’occasione per un’antropologia al contrario: nello specchio della migrazione emergono le nostre politiche razziste, le burocrazie, le presunzioni culturali. Da qui, la violenza strutturale che caratterizza le migrazioni odierne non appare come un’emergenza, bensì come l’esito di un particolare modo di concepire gli Stati nazioni e di un preciso modo di governo economico-politico: il capitalismo attuale. A un’introduzione al fenomeno migratorio segue uno studio critico delle convenzioni internazionali e della normativa italiana su asilo e accoglienza.