Descrizione
Negli anni Cinquanta del Novecento l’Algeria francese era in preda alle peggiori convulsioni. Gli indipendentisti algerini, non potendo competere ad armi pari con l’esercito francese, organizzavano azioni terroristiche allo scopo di rendere quasi impossibile il dominio degli europei. In questo clima, nel settembre del 1959, viene piazzata una bomba in una brasserie nei pressi dell’Università di Algeri, che viene fortunatamente disinnescata prima dell’esplosione. Di questo crimine viene accusata una ragazza algerina di soli ventidue anni, Djamila Boupacha. Non esistendo alcuna prova a suo carico, le forze di occupazione francesi si adoperano per ottenere una sua piena confessione. Dal momento che la ragazza si ostinava a dichiararsi innocente, le vengono inflitte atroci torture. In tal modo – come è ovvio – le forze dell’ordine ottengono la confessione che mancava, assieme a quella di una decina di altri reati immaginari. Il tutto, peraltro, avviene nel corso di più di un mese, entro il quale la ragazza è detenuta senza alcun atto formale, in quella sorta di alienazione dei diritti che è tipica dei più beceri fra i regimi totalitari. La ragazza può però chiedere di essere difesa da Gisèle Halimi, ben nota per l’appassionato patrocinio in cause simili, che ottiene il trasferimento del processo a Parigi, di certo un territorio più neutrale. È proprio l’avvocato Halimi a chiedere l’intervento di Simone de Beauvoir perché l’attenzione mediatica potesse provare a inceppare la ben oliata macchina dell’ingiustizia di Stato. La nostra pensatrice accetta senza esitazioni. Nasce così un comitato – da lei presieduto – che aveva proprio lo scopo di sfruttare la pubblica ribalta per interpellare le massime autorità al fine di ottenere giustizia per Djamila Boupacha e per migliaia di altre algerine che avevano subìto una sorte analoga. In questa campale battaglia mediatica si inquadra un leggendario articolo pubblicato sulla prima pagina di Le Monde, il 3 giugno 1960, nel quale Simone de Beauvoir cesellava d’inchiostro un ventaglio di accuse contro le forze di occupazione francesi in Algeria. Il geniale incipit del breve articolo sfodera un tenore lapidario che – oltre ad essere esempio di uno stile quasi inarrivabile – ottiene l’effetto di scuotere immediatamente l’animo del lettore, rendendogli quasi impossibile interrompere la lettura fino all’ultima riga.