Descrizione
Cofanetto con due volumi.
Questo vocabolario si pone con merito nel gruppo di una serie d?importanti opere della lingua piemontese che, nel corso di due secoli, ne hanno accompagnato l?evoluzione. Le varianti ci sono inevitabilmente state, rispetto ai predecessori, sia per le trasformazioni che caratterizzano una lingua viva e dunque legata al cambiamento dei tempi, della cultura e del modo di vivere, ma lo spirito originale, quello che discende dai «Sermoni Subalpini», è rimasto invariato.
Sono trascorsi due secoli e un quarto da quando ha visto la luce la prima regolamentazione scritta della lingua piemontese ad opera del medico Pipino, ma occorre considerare che poi non sono state molte le grammatiche scritte fra il 1783 e il 1967, anno che ha visto la pubblicazione della prima edizione della «GRAMATICA PIEMONTÈISA» scritta da Camillo Brero ed uscita per i tipi dell’editore Mario Gros. Questa è rimasta per molto tempo un punto di riferimento fisso per tutti quelli che volevano avvicinarsi con costrutto alla lingua piemontese. Molte sono state le ristampe e riedizioni sino al 1987 ed anche molte altre grammatiche hanno visto la luce in successione, ma sempre fedeli a quei capisaldi indicati dai maestri. Il successo e la diffusione della grammatica di Brero oltre ad essere inconfutabili hanno rappresentato un indicatore del desiderio della gente di apprendere le regole di quel modo di parlare, magari così comune perché ancestrale per molti, e sentirsi più fieri e sicuri sapendo di avere alle spalle il valore di un testo riconosciuto e validato dai massimi esperti linguisti. La scelta operata dall’autore di utilizzare in toto la lingua piemontese poteva rappresentare una scommessa, un rischio di difficoltà nella comprensione, ma i fatti hanno premiato l’audacia. Queste sono appunto le sue parole riportate sulle prime edizioni: «A son tanti ij motiv, ma doi a l’han cissane pì fòrt e a l’han fane decide. El prim a l’é col éd dimostré a tuti che nòstra lenga, pròpi pérchè lenga, a peul esprime qualonque concet leterari, gramatical, filosòfich, stòrich, etc. E lé scond a l’é col che an fà védde lògich éd dovèj parlé ai Piemontèis an soa lenga, tantopì che nòstra gramàtica a l’é adréssà, prima che a j’àutri, a coj che dél piemontèis a son ij cultor».
Quella grammatica, infatti, non l’hanno utilizzata, consultata, consumata solo i cosiddetti «addetti ai lavori»: scrittori, poeti e studiosi. Essa è diventata compagna fedele di molti altri piemontesi, ma anche motivo di stimolo per chi si è poi voluto cimentare in opere simili. In poche parole ha rappresentato il classico sasso gettato nello stagno che genera onde ed increspature. Un elemento di stimolo, oltre che di conoscenza, che ha smosso la staticità di una cultura che si crogiolava pigramente sui pochi documenti del passato e certamente non noti alla maggioranza dei piemontofoni. Sembra dunque giusto ed opportuno che ci sia una ristampa di questa grammatica che, per i meriti sopra esposti, va a collocarsi con pieno diritto nelle opere fondamentali della storia della letteratura piemontese.
Con l’occasione delle ristampe vengono spesso apportati degli aggiornamenti e delle attualizzazioni, ma in questo caso si tratta della riproposta di un’opera da considerarsi storica e dunque, quasi come se fosse una ristampa anastatica, da conservare nella sua originalità.