Descrizione
Seneca intende la filosofia come una prassi trasformativa entro la quale il pensiero e l’azione si fondono in una rassicurante sequenza di atti sensati. La filosofia pensa la vita e la informa sul da farsi, regalando all’uomo frammenti intensi di pura felicità. Così la tradizione degli autori del passato ha sì un corpo di parole, ma una destinazione assolutamente pratica, quella di curare, consolare, assistere, medicare, vivere pienamente la polvere del mondo.
La quasi totalità delle opere di Seneca è attraversata come un fulmine dalla meditazione sul tempo; due testi fra tutti splendono però per la capacità dell’autore di scuotere il lettore e di scatenare in lui la tempesta del dubbio: si tratta della prima Lettera a Lucilio e del De brevitate vitae. In questi testi il tono di Seneca si fa incalzante: l’esistenza appare sospesa fra due abissi, l’uomo – per fingere di non sapere – si lancia a capofitto verso un futuro addomesticato entro sempre nuovi progetti. Così, però, non vive e rischia di accorgersene troppo tardi. Compito del filosofo è quello di spingere il singolo a mettere mano al presente, troppo spesso stritolato tra passato e futuro, come già aveva segnalato Aristippo di Cirene.
Con parole che riecheggeranno molto lontano – da Montaigne a Pascal, a Kierkegaard, a Bergson, ad Heidegger – Seneca spiega che la terapia filosofica salva la vita: non perché la allunghi in direzione metafisica ma perché la trasforma qui e ora, restituendoci l’orgoglio di essere effimeri e fugando la paura di essere umani.
La nuova traduzione che qui si propone di alcune delle Lettere a Lucilio e di alcuni paragrafi del De brevitate vitae – preceduta dalla prefazione di Mauro Trentadue e da due brevi saggi di carattere storico di Monica Moro – suggerisce il bisogno assoluto di una vita pensata, di una filosofia che si faccia terapia del malessere, di un pensiero che si prenda cura dell’esistenza senza paura di perdere spessore teoretico.